Sentire il mistico: l'esperienza complessiva del limite
Il silenzio mistico non è un escludere qualcosa dal campo del dire, ma è un operare linguisticamente senza nulla dire. L'assunzione del silenzio non dipende da una teoria; essa scaturisce direttamente dall'esperienza del senso della vita e dalla visione, alla luce di questo, del senso del linguaggio.
Quello di Wittgenstein sarebbe un misticismo della vita presente, un misticismo della presenza, della chiarezza, dell'evidenza e della trasparenza assolute.
Vedere il linguaggio sub specie aeterni vuol dire vedere oltre il mondo accidentale del linguaggio; ma non nel senso che si dia una sfera di realtà assoluta contrapposta a una relativa, bensì nel senso che si istituisce una visione che è altra da quella che vede la realtà come un insieme di fatti accidentali, nel senso cioè che si vede assolutezza anche dell'accidentale mondo-del-linguaggio.
Sentire il mistico è sentire il mondo come una totalità che ha dei limiti, e percepire questi limiti. Ma ciò non è realizzabile al livello della logica e della scienza. Occorre abbandonare l'esprimibilità e l'esprimibile. Il linguaggio è stato adoperato fino ai limiti delle sue possibilità: ora si è arrivati e si vive al livello della totalità; si vive la comprensione, l'immedesimazione e il silenzio. «Su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere» (Tractatus, 7). Il programma posto nella prefazione del Tractatus si realizza solo alla fine, nel suo risultato, tracciando nel linguaggio un limite definitivo e assoluto all'espressione dei pensieri. Bisogna affermare ciò di cui bisogna tacere, sennò il senso dell'opera rimane equivoco. La parte conclusiva è perciò essenziale al Tractatus e, come sottolinea Cacciari, è essa che lo definisce esplicitamente come operazione di delucidazione. Il suo carattere sistematico-conchiuso è paradossale. Si tratta, in realtà, dell' opposto dello "spirito" del sistema. La sua verità è tautologica, non deduttiva, non sintetica. È appunto questo il problema del mistico: il mistico non è l'esperienza del trascendentale ma l'opposto. Il mistico non è una domanda su come è il mondo. È invece l'csperienza del mondo come tutto limitato. Il mistico ha origine dal fatto che il mondo è. La logica formalizza i limiti della proposizione, mostra la forma necessaria e costante delle proposizioni dotate di senso. È l'esperienza complessiva del limite così tracciato che dà origine al mistico. Se la logica ponesse una realtà con suo spazio, non vi sarebbe il problema del mistico. Dove si trascende il limite non c'è mistico: è quando l'enigma scompare, quando il problema scientifico della forma della proposizione e della logica è risolto che nasce il mistico. Non soltanto, dunque, la consapevolezza dei limiti del formali- smo, ma la consapevolezza del formalismo come limite caratterizza la conclusione mistica del Tractatus.
Nel mondo non ci sono valori. Il mondo è tutto, tutto ciò che si può dire. Il mistico esclude dall'espressione linguistica ogni rimando a un ineffabile; fonda perciò la possibilità di proposizioni dotate di senso. Senza mistico, il formalismo tenderebbe sempre a divenire tutto, a presentarsi come verità eliminando ogni limite. Il mistico riconosce nella logica proposizioni soltanto tautologiche, regole dei segni e ne traccia i limiti, che coincidono con quelli del mondo. Esorcizzare il mistico è credere che non vi sia nulla di cui tacere, è annullare il limite che il Tractatus traccia nel linguaggio.
Le severe limitazioni imposte al linguaggio significante nelle proposizioni fondamentali del Tractatus sono rivolte in massima parte a far risaltare con chiarezza proprio quell'inesprimibile.
Il Tractatus, in un certo senso, ci porta alla fonte della filosofia: osserva le cose con lo stupore della prima volta perché le fa apparire per quello che sono.
Questo libro, forse, comprenderà solo colui che già a sua volta abbia pensato i pensieri ivi espressi - o, almeno, pensieri simili,
Vedere il linguaggio sub specie aeterni vuol dire vedere oltre il mondo accidentale del linguaggio; ma non nel senso che si dia una sfera di realtà assoluta contrapposta a una relativa, bensì nel senso che si istituisce una visione che è altra da quella che vede la realtà come un insieme di fatti accidentali, nel senso cioè che si vede assolutezza anche dell'accidentale mondo-del-linguaggio.
Sentire il mistico è sentire il mondo come una totalità che ha dei limiti, e percepire questi limiti. Ma ciò non è realizzabile al livello della logica e della scienza. Occorre abbandonare l'esprimibilità e l'esprimibile. Il linguaggio è stato adoperato fino ai limiti delle sue possibilità: ora si è arrivati e si vive al livello della totalità; si vive la comprensione, l'immedesimazione e il silenzio. «Su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere» (Tractatus, 7). Il programma posto nella prefazione del Tractatus si realizza solo alla fine, nel suo risultato, tracciando nel linguaggio un limite definitivo e assoluto all'espressione dei pensieri. Bisogna affermare ciò di cui bisogna tacere, sennò il senso dell'opera rimane equivoco. La parte conclusiva è perciò essenziale al Tractatus e, come sottolinea Cacciari, è essa che lo definisce esplicitamente come operazione di delucidazione. Il suo carattere sistematico-conchiuso è paradossale. Si tratta, in realtà, dell' opposto dello "spirito" del sistema. La sua verità è tautologica, non deduttiva, non sintetica. È appunto questo il problema del mistico: il mistico non è l'esperienza del trascendentale ma l'opposto. Il mistico non è una domanda su come è il mondo. È invece l'csperienza del mondo come tutto limitato. Il mistico ha origine dal fatto che il mondo è. La logica formalizza i limiti della proposizione, mostra la forma necessaria e costante delle proposizioni dotate di senso. È l'esperienza complessiva del limite così tracciato che dà origine al mistico. Se la logica ponesse una realtà con suo spazio, non vi sarebbe il problema del mistico. Dove si trascende il limite non c'è mistico: è quando l'enigma scompare, quando il problema scientifico della forma della proposizione e della logica è risolto che nasce il mistico. Non soltanto, dunque, la consapevolezza dei limiti del formali- smo, ma la consapevolezza del formalismo come limite caratterizza la conclusione mistica del Tractatus.
Nel mondo non ci sono valori. Il mondo è tutto, tutto ciò che si può dire. Il mistico esclude dall'espressione linguistica ogni rimando a un ineffabile; fonda perciò la possibilità di proposizioni dotate di senso. Senza mistico, il formalismo tenderebbe sempre a divenire tutto, a presentarsi come verità eliminando ogni limite. Il mistico riconosce nella logica proposizioni soltanto tautologiche, regole dei segni e ne traccia i limiti, che coincidono con quelli del mondo. Esorcizzare il mistico è credere che non vi sia nulla di cui tacere, è annullare il limite che il Tractatus traccia nel linguaggio.
Le severe limitazioni imposte al linguaggio significante nelle proposizioni fondamentali del Tractatus sono rivolte in massima parte a far risaltare con chiarezza proprio quell'inesprimibile.
Il Tractatus, in un certo senso, ci porta alla fonte della filosofia: osserva le cose con lo stupore della prima volta perché le fa apparire per quello che sono.
Questo libro, forse, comprenderà solo colui che già a sua volta abbia pensato i pensieri ivi espressi - o, almeno, pensieri simili,
dice Wittgenstein, proprio all'i nizio della prefazione al Tractatus. Per il filosofo austriaco non era una curiosa battuta, afferma Tullio De Mauro:
L'estrema verità del Tractatus è espressa proprio in queste parole. Soltanto una coincidenza empiricamente e razionalmente non dimostrabile, soltanto una mistica comunione di anime, garantisce che il significato di una frase sia capito da una persona diversa da chi l'ha pronunciata. Altrimenti, se misticismo e irrazionalità non piacciono o non si ritengono possibili, bisogna rassegnarsi ad ammettere che, nel solido e coerente mondo aristotelico delle parole che denotano cose "eguali per tutti", la comunicazione è impossibile. (T. De Mauro, Introduzione alla semantica, Laterza, Bari, 1989, pp. 100-101)
Ho tentato in questo secondo paragrafo di analizzare il silenzio in figura positiva. Desideravo indicare un campo di riflessione vasto, di enorme importanza per Wittgenstein: indicibile e incommensurabile e dagli effetti straordinari. Un divieto che conduce a un lieto fine: un guadagno, il mistico, che ha un prezzo nel rigore della chiarezza. E di questa chiarezza e della filosofia come impresa antiteorica che mi occuperò nelle prossime pagine,parlando del silenzio in figura negativa.